Il segreto di AIL? L’intuizione del Prof. Mandelli, una rete di assistenza diffusa sul territorio e la forza incredibile dei volontari.
Quando sono arrivato in AIL, nel 1996, la Sede Nazionale dell’Associazione entrava tutta in un piccolo appartamento di due stanze in Via Lancisi: sei dipendenti in tutto, un pc e un fax che usavamo a turno. Avevo 27 anni e dovevo ancora laurearmi in Economia quando mi chiamarono per un colloquio con il Prof. Mandelli. Mi ero preparato un bel discorso ed ero arrivato in anticipo perché il Professore, da buon bergamasco, era una persona estremamente precisa. Entrai nella stanza emozionato e dopo cinque minuti uscii con il mio primo incarico.
All’epoca tutti facevano tutto, non c’era una struttura definita come quella di oggi e così mi ritrovai temporaneamente a lavorare nell’area comunicazione e marketing, perché una mia collega era in maternità. Quindi la mia avventura iniziò così: imparai ad usare un fax, che era uno strumento importantissimo, per inviare comunicati stampa alle redazioni di giornali e riviste. Mi ricordo ancora quando uscì il primo annuncio, come un bambino andai di corsa a comprare la rivista e mi sentii orgoglioso del mio lavoro.
In poco tempo l’Associazione ebbe una crescita che definirei vertiginosa e mi resi conto, quasi improvvisamente, di quanto AIL potesse cambiare realmente la vita dei pazienti ematologici.
Nel 1996 ci fu infatti la prima edizione di Trenta Ore per la Vita e nel giro di un anno venne creato un settore amministrativo per gestire la grande quantità di fondi raccolti. Uno dei progetti sostenuti dalla raccolta era di primaria importanza: tenere aperti i reparti di Ematologia anche d’estate, una cosa che allora aveva dell’incredibile. A causa della carenza cronica di personale, infatti, a luglio e agosto i pazienti venivano rimandati a casa perché non c’erano infermieri per coprire i turni. AIL riuscì a vincere la sua battaglia, pagando gli stipendi del personale specializzato di diversi reparti italiani per due mesi.
Dopo quella vittoria così importante non ci siamo più fermati e ora siamo una delle organizzazioni No Profit più importanti del Paese. E la formula di questo successo è fatta di tre ingredienti principali: l’intuizione del prof Mandelli che conosceva le carenze dei reparti di Eamtologia ed ebbe la visione di coinvolgere la società civile per andare incontro alle necessità dei pazienti; la struttura ‘decentrata’ dell’Associazione, fatta di Sezioni provinciali che lavoravano in sinergia con i centri ematologici a livello locale. Grazie a questa organizzazione del tutto peculiare, l’Associazione ha potuto svilupparsi senza aver bisogno, fin dall’inizio, di capitali molto grandi per agire in concreto a favore dei pazienti; infine i volontari: senza la forza delle persone straordinarie che donano il loro tempo e il loro amore, AIL non sarebbe mai diventata ciò che è oggi.