Finita la battaglia fisica dovevo vincere quella mentale. Per sconfiggere le mie paure ho deciso di impegnarmi in prima persona e così, da 20 anni, regalo il mio sorriso a chi sta lottando.
Era la fine del settembre '95. Durante l’estate ero stata in Corsica come animatrice turistica e poi a Genova, per uno stage. Avevo trascorso quattro mesi molto intensi. Mi sentivo molto stanca e in più mi ritrovavo con un grosso livido a una gamba. Inizialmente pensai a un colpo preso giocando a pallavolo, ma non era così. Su insistenza di mia madre feci una serie di controlli fino a che uno specialista di Roma intuì la gravità della situazione.
Dopo un ricovero urgente mi sottoposero ad un prelievo midollare ed ecco, due giorni dopo, la “sentenza”: Leucemia Mieloide Acuta. Il responso fu comunicato a mia madre che però non ebbe il coraggio di avvertirmi. Era disperata. A informarmi furono gli stessi medici: “Dobbiamo iniziare subito con la chemioterapia”, mi dissero. Piansi e per tre giorni fui come in trance, dopodiché iniziai le terapie. Una cura dolorosa, tanto da richiedere l’assunzione della morfina. Sono stati momenti davvero terribili. Ricordo che ero in una stanza sterile, persi venti chili e mi caddero tutti i capelli.
In quel periodo ho conosciuto il prof. Franco Mandelli, che è stato per me e per tutti i pazienti come un padre. Mi ha detto subito che il mio era un caso difficile ma che avrebbe fatto di tutto per rimandarmi a casa. Sono stata in ospedale per mesi e non c’è stato un solo giorno in cui lui non venisse a salutarmi, compreso Pasqua, Natale e Capodanno. Sono una persona molto esuberante e lo prendevo in giro dicendo sempre “con Mandelli siamo più sani e più belli” e lui mi dava una botta sulla testa in maniera scherzosa perché amava il mio buonumore.
Di quei nove mesi di inferno, trascorsi fra cure, speranze e paure, paradossalmente ho anche ricordi bellissimi. Oltre alla presenza di Mandelli, non dimenticherò mai il sostegno dei miei amici. Mi viene in mente in particolare un giorno: quello del mio ventiduesimo compleanno. Erano arrivati in venti, con quattro auto, striscioni, trombe e una magnifica torta al cocco. Costretta a letto li sentivo, ma non avevo la forza di muovermi. Così gli infermieri mi sollevarono per permettermi di poterli scorgere e salutare. Quando mi videro ci fu un’ovazione e fui felice. Per quello che hanno fatto, per come si sono comportati, non ci sono parole.
Una volta uscita dall’ospedale, però, mi resi conto che dopo la battaglia fisica dovevo vincere quella mentale. Per sconfiggere le mie paure ho deciso di impegnarmi in mille modi: sono tornata a giocare a pallavolo, ho iniziato a insegnare questo sport alle bambine, mi sono laureata in Economia del Turismo. Ma ciò di cui vado particolarmente fiera è l’aver dato vita, insieme alle famiglie Tulimieri e Cosentino, alla Sezione AIL di Salerno. Non potevo starmene con le mani in mano.
Oggi assistiamo i malati e contribuiamo alla ricerca; abbiamo potenziato il reparto di Oncoematologia presso l’Ospedale Umberto I di Nocera Inferiore in provincia di Salerno, dove è stato attivato un progetto AutoTrapianto; abbiamo realizzato un Day Hospital per i bambini affetti da patologie oncoematologiche presso la Pediatria dell’Ospedale di Salerno e donato attrezzature per la radioterapia nelle cure dei Linfomi.
Anche qui al Sud cominciamo ad essere alla pari di altri grandi centri specializzati nella cura di queste malattie. Abbiamo tanti volontari che donano il loro sorriso in reparto e tra i tanti ci sono anche io, per dare tanta speranza a chi oggi sta lottando.